Totem a Forlì?

Totem a Forlì

Un lettore forlivese mi ha telefonato di aver trascorso una notte insonne, divorato dall’angosciosa plurima domanda cosa mai rappresentasse, chi mai ne avesse disposto la collocazione proprio vicino casa sua, infine quale mai sia la finalità di tanta installazione. Praticamente, nella nostra Forlì, in fondo a via Giorgio Regnoli e in prossimità della casa dello scultore Roberto De Cupis, dall’ennesimo cantiere del fervore del sindaco Zattini per una città, interminabilmente tutta “lavori in corso”, è sorta un’enorme struttura metallica, spigolosa e insolita, anche inquietante per la sua presenza, cosi disarmonica rispetto al luogo e al suo stesso arredo urbano.

Per caso, una scultura o altro in onore del celebre artista De Cupis, una volta residente nei paraggi? Oppure, una nuova installazione o scultura, originale proprio perché “no sense”? Tanto col tempo i forlivesi si abituano, fanno buon viso al peggio e lasciano correre: così è avvenuto con il gigantesco cavallo di Troia, residuato della mostra del 2020 sul mito di Ulisse ai Musei di San Domenico e, alla fine, collocato a bischero sciolto sulla rotonda di piazzale del Lavoro; altrettanto, è successo con la statua, decorata a mosaico trecandis e collocata sulla rotonda davanti al Foro Boario, tra l’altro raffigurante il toro Marduk, stilizzato in forme cosi macilenti e tristi da dubitare che possa persino possedere degni attributi bovini.

Dunque, non mancano illustri precedenti di installazioni come cavoli a merenda, però seriamente comincia a preoccupare la loro proliferazione, tanto più a Forlì, città che sempre più perde o svilisce la propria identità culturale. Il lettore, ieri mio informatore ansioso, mi ha sottolineato la grandezza della nuova struttura eretta in fondo a via Regnoli, quasi tre volte l’altezza di un operaio intento alla collocazione, lo sguardo basso, forse con la perplessità di poter risultare complice di uno sfregio alla serenità cittadina.

Lo stesso lettore ha riferito d’essersi informato con un giro di telefonate a chi conta e sa: è un totem, solo un totem questa la laconica risposta ricevuta. All’angosciato residente, ormai destinato ad aprire la finestra sul quotidiano perché quella stramba installazione sotto casa, sono tremati i polsi: se davvero si trattasse di un totem, quindi della riproduzione antropologica di una sconosciuta entità soprannaturale alla quale sentirsi legati per tutta la vita, allora non resta che confidare davvero nella silenziosa nascita di audaci commandos liberatori per la tutela del bello e, perché no, del sonno cittadino.

Franco D’Emilio

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