
Dobbiamo rassegnarci e continuare a pagare, anche quando, come in questo caso, è palese che si paga senza neppure un fico secco in cambio, quindi nemmeno il minimo beneficio di un servizio, di un’assistenza. Siamo tutti Pantalone, almeno una stragrande maggioranza di noi, cittadini onesti e responsabili, dunque siamo l’italiano che, pur vessato, paga sempre le tasse su tutto, persino sull’aria che respira, ma solitamente si sente sfruttato, deluso nelle sue aspettative di contribuente: i trasporti non funzionano e vengono sabotati, magari con un chiodo in un quadro elettrico; la sanità pubblica è strangolata da lunghe liste d’attesa, spesso ferme al bivio tra la guarigione o la morte, tutto dipende da “lor signori”; la scuola miseramente tira a campare.
Una cosa, però, è pagare invano le tasse, comunque nella consapevolezza della loro necessità per finalità, universalmente utili a tutta la comunità nazionale, altra cosa, invece, e perlopiù ad insaputa dei cittadini, è l’uso della contribuzione fiscale per sostenere, foraggiare interessi, fini particolaristici, sicuramente non annoverabili né tra le esigenze primarie collettive né tra quelle particolari, legittime di tutela e cura dei più deboli. Eppure, ignaro e raggirato da leggi insidiose, perché discrezionalmente applicabili, spesso Pantalone paga anche per ciò che in tutta evidenza è fuori dai valori comuni, condivisi e coesivi di tutta la nazione.
Così, Pantalone paga e senza saperlo finanzia i nostalgici di tanto fazioso, pretestuoso antifascismo, e di tanta Resistenza, illusoriamente celebrata nel culto della sua inesistente attualità, addirittura sovvenziona patetici aspiranti partigiani, ormai destinati, ironia della storia, solo al ruolo di “umarell” dei lavori in corso di un governo della destra postfascista. Pantalone paga e, gabbato dalla trascorsa astuzia legislativa antifascista, a Forlì, come altrove, foraggia il carrozzone degli Istituti Storici della Resistenza e della collegata Anpi, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.
Infatti, tra il 2002 e il 2017 la sinistra, conscia di dover garantire l’anacronistica sopravvivenza di questi soggetti, cardine della sua riottosa propaganda antifascista e fecondo orticello di parte del suo consenso, ha provveduto a varare leggi ad hoc, pure con l’implicito intento di legittimare il finanziamento pubblico: la legge 38/2002 della Regione Toscana, poi subito spunto normativo per altre regioni, quelle rosse innanzitutto; quindi, il decreto legislativo 117/2017, guarda caso sotto l’opaco governo di centrosinistra nelle mani di Paolo Gentiloni.
Con la prima legge, evitando furbescamente di citare espressamente gli Istituti Storici della Resistenza, si è riconosciuta “la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, politico e culturale dell’antifascismo e della resistenza”, quindi conseguentemente si sono riconosciute tutte le attività e le iniziative utili, comprese appunto quelle scontate, rappresentate dalla rete degli istituti storici in questione. Con la seconda legge, il D.lgs 117/2017, relativa al Codice del Terzo Settore che disciplina le organizzazioni non profit, gli Istituti Storici della Resistenza sono stati compresi e legittimati in quest’ambito organizzativo. Tutto questo allo scopo di valorizzare l’antifascismo e la Resistenza? Cui prodest, a chi giova un tale sperpero di danaro pubblico?
A Forlì, come altrove, un fiume di benefici e danaro pubblico giunge al locale Istituto Storico della Resistenza, registrato come “crediti vari verso terzi”, crediti non sempre di facile, immediata verifica per quali attività, commissionate e svolte, siano maturati. Forse, iniziative di tutela, promozione della fede antifascista e resistenziale, magari a copertura di donazioni che potrebbero, invece, risultare inopportune, impopolari e di parte? Certo, scorrendo lo stato patrimoniale e il conto economico dei bilanci dell’istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Forlì si resta alquanto perplessi. Soldi, ben oltre 100mila euro giungono dai comuni del forlivese, in aggiunta a quelli della Regione Emilia-Romagna, dell’Unione dei Comuni della Romagna Forlivese e di davvero pochi donatori, caparbio zoccolo duro di “Ora e sempre Resistenza!”.
Se, poi, consideriamo che a Forlì l’Anpi e l’Istituto Storico della Resistenza hanno sede rispettivamente al piano terra e al primo piano dell’immobile, sito al civico 25 di via Cesare Albicini, lo stesso che un link comunale indica soltanto come dimora storica, ubicazione di una biblioteca, allora è inevitabile pensare l’uso gratuito dell’edificio, comprese le utenze di servizio. Insomma, anche il Pantalone forlivese paga, perfettamente all’oscuro di risultare finanziatore occulto di novelli partigiani resistenti della tardissima ora, adesso promotori della difesa della pace e della democrazia contro il possibile, risorgente pericolo fascista. Tutto questo perfino nell’odierna Forlì, da oltre sei anni amministrata dal centrodestra: pure quest’ultimo, per ovvio calcolo politico e quieto vivere, pare fermamente interessato a commissionare chissà mai quali servizi all’Istituto Storico della Resistenza, tanto più in questi giorni quando pure la candidatura di Forlì a capitale italiana della cultura vale questa ipocrisia double face.
Franco D’Emilio