
Continua, allora, il “miracolo italiano” delle mostre al Museo di San Domenico di Forlì, come ebbe a definirle il professor Antonio Paulucci nella ricorrenza del loro decennale? Coi miracoli italiani andrei cauto, sono temporanei, sempre inconsistenti, se non effimeri. Così, ad esempio, dal boom italiano “mordi e fuggi” tra il ’58 e il ’63 fino all’odierna pochezza di diversi aspetti della nostra società, compresa la cultura, della quale tanti, davvero troppi anche a Forlì, ormai si sciacquano la bocca, apparentemente trascinati dall’infondata esaltazione che il nostro “cittadone” sia diventato ombelico culturale del mondo, per dirla alla Jovanotti, ma, in realtà, perché molto manipolati da chi detiene le leve del business culturale, ma non quelle della culturalità, legata al territorio ed espressione, valorizzazione di questo stesso.
Sì, siamo alla manipolazione della propaganda più maldestra che si possa diffondere a scapito dei cittadini, forlivesi e non. In pochi giorni, guarda caso, prima la celebrazione dei venti anni, mostruosamente dichiarati di grande successo, delle mostre al San Domenico, fino, ohibò, all’esagerazione, forse in un inconsapevole, significativo, ma azzardato richiamo del Ventennio, di definirle “le 20 mostre che hanno fatto la storia di Forlì”; poi, perché è sempre giusto dare qualche numero, soprattutto per convincere gli inevitabili San Tommaso, che se non toccano non credono, l’altisonante, enfatica dichiarazione “San Domenico, dal 2005 polo della cultura forlivese: una media di 87 mila visitatori all’anno”; infine, preparato il terreno della credulità, l’annuncio “Spettacolarità e teatralità, il 2026 del San Domenico sarà all’insegna del Barocco: svelata la grande mostra.”
Dunque, il Barocco sarà il tema dell’ennesima mostra al San Domenico che costringe Forlì a guardare al mondo, ma poco dentro se stessa, al suo patrimonio culturale, molto del quale adesso disperso in una vergognoso “spezzatino”, un po’ di qua, un po’ di là e tanto bisognoso di restauro conservativo, persino di urgente recupero da danni alluvionali; per non dire della scarsa promozione e valorizzazione, testimoniata da ormai croniche chiusure o limitazioni museali e di altre istituzioni. Ma, a quanto sembra, dobbiamo confidare nella “capacità visionaria”, così l’ha definita il sindaco di Forlì, Gian Luca Zattini, di Gianfranco Brunelli, monarca a vita della direzione delle mostre sotto la cappella protettiva e benedicente della forlivese Fondazione Cassa dei Risparmi: siamo già ai toni agiografici, forse presto non mancherà neppure la scrittura alla Plutarco di una vita parallela del direttore Brunelli, anche se, forse, al momento niente affatto facile reperire personaggio odierno di pari, ovviamente parallela “capacità visionaria”.
Eppure, alcune domande, alcune considerazioni continuamente stuzzicano la mia perplessità sulla fondatezza del mito delle mostre forlivesi al San Domenico. Sulle venti esposizioni, sinora svolte, fatta eccezione di qualcuna, effettivamente coinvolgente il patrimonio culturale forlivese, quanto mito di Ulisse, quanto ritratto dell’artista, quanto preraffaellismo, quanta arte della moda, quanto eterno e tempo tra Michelangelo e Caravaggio, quanto Piero Della Francesca, quanta natura e simbolo dal Seicento a Van Gogh, mi fermo per non infierire, ha coinvolto direttamente la valorizzazione culturale del nostro territorio? E, a questo punto, siamo davvero certi che sempre la nostra Forlì sia così barocca da poter ospitare una vasta mostra tematica proprio sul Barocco?
Non solo, ancora mi chiedo se valga la pena, in termini trionfalistici, celebrare i numeri del San Domenico: in venti anni di mostre, dal 2005 al 2025 ben 1.700.000 visitatori dunque una media annuale di 85.000. Più che “numeroni” solo miseri numerucci pretenziosi, rispetto, ad esempio, agli oltre 135.000 annuali, con punta fino a 220.000 nel 2022, del Museo d’arte moderna e contemporanea di Rovereto, città di neanche 47.000 abitanti, anch’essa sede di mostre, ma sempre contemporaneamente ad un ampio recupero e ad un’incisiva promozione della cultura trentina. Infine, lo voglio dire, mi stupisce la banalità che la nuova mostra sul Barocco sia proposta all’insegna della spettacolarità e della teatralità.
Tutta l’arte, tutte le mostre, non solo quelle sul periodo barocco, sono spettacolari e teatrali come rappresentazione scenica dell’eterna vicenda umana; pensare diversamente risulta davvero banale perché approssimativo e superficiale, soprattutto indegno di tanta, acclamata “capacita visionaria”. Comunque, tra articoli compiacenti prosegue il cammino di Forlì verso la sua nomination a capitale italiana della cultura 2028, nonostante i buchi e le toppe al culo del proprio vestito culturale. Cose che accadono in un’Italia che troppo frequentemente insegue progetti fumosi a lungo termine, perdendo di vista la realtà e non sempre per sola miopia. Arrendiamoci alla speranza che la grande “capacità visionaria”, la cosa mi ricorda tanto Mao Tse-tung, sappia guidarci nella gloriosa, lunga, inesorabile marcia all’ambiziosa meta del 2028.
Franco D’Emilio