
La CGIL cavalca la protesta dei bagnini o marinai di salvataggio, che dir si voglia, adesso, veramente con l’acqua alla gola per la tutela e la gestione della propria attività: rischiano, infatti, che il loro ruolo di salvamento, ben definito in specifiche tecniche e pratiche di vigilanza, sicurezza e soccorso, sia confuso con l’organizzazione e le finalità sportive della FIN, Federazione Italiana Nuoto. Ancora di più si rischia che la formazione all’attività di salvamento sia unica, la stessa in acque esterne, ovvero marine, lacustri e fluviali, e interne, in quest’ultimo caso le piscine. Nulla esclude, tuttavia, dai nostri auspici che la FIN sappia provvedere a risolvere queste problematiche.
La ragione di questa protesta sta proprio nell’opposizione alla decisione della FIN, ad opera di Paolo Barelli, presidente della stessa unione degli sport acquatici e capogruppo alla Camera di Forza Italia, di rimettere e affidare solo a se stessa la concessione e la convalida dei brevetti di salvamento. Così vengono esautorati altri soggetti, come, ad esempio, la FISA, Federazione Italiana Salvamento Acquatico, e a gestire l’amministrazione, il controllo, i pagamenti periodici di rinnovo dei bagnini italiani resta, sola e indiscussa, la FIN, appunto presieduta dall’onorevole Barelli; si delinea, in tal modo, un’organizzazione, sportiva e non, di crescente peso e non indifferenti interessi politici, pure elettorali, lungo, non dimentichiamolo, 8.000 chilometri di coste italiane con 7.224 stabilimenti balneari e 14.750 bagnini, quindi due bagnini mediamente presenti in ogni stabilimento; infine, non dimentichiamoci delle oltre 4.000 piscine pubbliche, delle quali ben 50 di tipo olimpionico, tutte sempre vigilate da opportuni bagnini di salvataggio e soccorso.
Certo, un giro di diversi e appetibili milioni di euro, dal quale, però, ecco l’aspetto positivo dell’affidamento esclusivo alla FIN, restano finalmente tagliate fuori alcune società o federazioni, prima nella possibilità di concedere e convalidare brevetti di bagnino senza particolari, attendibili verifiche della persistente abilità fisica e psicologica a svolgere tale attività. Adesso, giusto un esempio, con il nuovo corso gestionale della FIN, ad ogni rinnovo del brevetto, sicuramente non si transigerà affatto sulla verifica della piena prova di capacità natatoria degli interessati, quindi, inevitabilmente e tanto giustamente, saranno esclusi attempati e panciuti bagnini, al massimo galleggianti a fare il morto, ma spesso ancora utilizzati bagnini “al nero”, anche per piazzare ombrelloni e sdraio, confidando che le boe segnalanti i limiti balneabili assicurino la minima possibilità di interventi di salvataggio.
La CGIL sostiene la protesta dei bagnini fuori dai requisiti essenziali; pretende l’introduzione obbligatoria di un’avventata pausa pranzo dei bagnini, a scapito della sicurezza dei bagnanti; reclama migliori condizioni lavorative contro lo stress dei bagnini, costretti, sai che fatica, a star seduti in riva al mare sotto l’ombrellone, non senza far chiacchiere con bagnanti avvenenti, anche apprezzandone le naturali dotazioni fisiche da dietro lo schermo riservato dei Ray Ban a specchio. Intanto, quest’anno, in molti stabilimenti balneari è stato problematico assicurare la presenza di bagnini, brevettati a pieno titolo, tanto che in alcune regioni si è dovuto ricorrere, cosa davvero inedita, a specifici annunci di ricerca a mezzo radio, tv ed altri mezzi informativi.
Ma tutto questo la CGIL lo ignora: preferisce gettare il salvagente a chi sinora con l’attività di bagnino ha costruito privilegi di discutibili e discusse cooperative, si pensi a quelle sulla riviera romagnola, il più delle volte attraverso l’intesa con società e federazioni, compiacenti e di manica larga nel concedere, rinnovare brevetti di idoneità al salvataggio. Ancora una volta la CGIL del vanamente cazzutto, tosto Landini dimostra il suo valore nel voler salvare il non salvabile.
Franco D’Emilio