Allora, chiariamo subito un concetto. Qui non si parla di “pasta ripiena”. Qui non stiamo a fare i maroni sulle percentuali di idratazione della sugna suina come fanno quei scemi di masterscief. Qua non c’è nessuno che “muoro” e che gli viene un “diludendo” se avete fatto un “mappazzone”. Qui stiam parlando dei cappelletti. Cioè, stiam parlando dei Cappelletti.
Se esistesse un succo concentrato di sborismi di romagnolo (tipo Red Bull, ma da noi sarebbe la Red Cìcciol) avrebbe il sapore di un piatto di cappelletti. Se non sapete cosa sono i cappelletti vi assicuro che state bene. Ma se sapete cosa sono e non c’avete voglia di mangiarli tutti i giorni, bisognerebbe controllare che non c’abbiate un fastidio grosso.
Adesso qui so che tra i miei compatrioti (la Romagna è una Patria) si scatenerà un putiferio che neanche immaginate. E quanti formaggi, e quali formaggi, e se ci va la carne o no, e se ci va la mortadella o no, e se bisogna farli con la luna piena che vengon gonfi come le patte dei romagnoli che guardano un film di Selen, e se bisogna farli quando fuori è asiutto che se no la sfoglia si imbombisce, e fate i maroni. I cappelletti son buoni perchè non sai mai che cazzo c’è dentro, sono un ripieno fantasia.
Occhio però! Perchè se capitate nei ristoranti sborini che in cucina ci sono i scief che sono andati dal pelato che vuoi che muoro, quelli più furbini vi fanno il di fuori a forma di cappelletto, mo il di dentro sa di robe che vi assicuro che non volete sentirle. E il ripieno con il cefalo merdaiolo della foce dei Fiumi Uniti. E il ripieno con l’anguilla ubriaca di Comacchio. E il ripieno con una salsa ai sassi di fiume.
E il ripieno biosostenibile con le radici di cipresso mordace della Val Fanculo, e l’erba del vicino che s’è incazzato che ci avete rasato a zero il giardino, e la rucola dell’ortobio che in effetti ti viene un po’ da esclamarlo, “ortobio!”. Io l’unico chilometro zero che sostengo ed appoggio è quello che faccio a carponi dopo aver bevuto due litri di fragolino, ziobaghino!
No, allora qui se vogliamo parlare di pugnette mettevo la foto di una patonza romagnola scosiata, ma stiam parlando di cucina romagnola quindi si devono astenere:
– vegani di Vega, siriani di Sirio e tutti gli altri alieni che scambiano il tofu per cibo;
– animalisti che non torcerebbero un pelo ad un cinghiale, perchè um dispìs ma per fare il brodo ci vuole la ciccia, se volete continuate a mangiare erba fatelo che poi quando finiscon le mucche è il vostro turno;
– sborini da nuvel cusin e cucina molecolare. Mo andate a fare dei rozzi di pugnette voi e le vostre schiumine di cetriolo;
– gente che c’ha problemi di polistirolo e tigigeridi. Se ce li avete, non vi passa. Se non ce li avete, vi vengono. E’ così, fatevene una ragione e se non vi va bene andate a fare la spaccata sulle pannocchie.
– gente che mangia poco. Il risotto nei ristoranti ve lo danno “minimo per due”. In Romagna i cappelletti sono minimo per otto. Che poi voi siate da soli e ve ne dobbiate mangiare otto porzioni, con la vostra nonna che ve li infila anche nel portafoglio tra la foto di Casadei e quella della Pensione Azzurra di Viserbella, sono affaracci vostri.
Detto questo, si passa al cappelletto vero e proprio. Allora. Si parte con la sfoglia.
La sfoglia è come l’amore, la sfoglia è come la vita. Ricordatevelo bene. All’inizio devi usare le mani e amalgamare della roba che non sembra nata per stare insieme, come quando ti incontri con quella moretta con gli occhiali delle elementari. Oh uno è la farina e una sgusia via come l’uovo. Ma se ci dai con passione e con un po’ di amore, alla fine vien fuori un impasto che deve essere così perchè può averlo voluto solo Dio (o Benito, o Stalin, in Romagna su questo siam sempre un po’ confusi).
Ecco e quando hai creato questo amalgama di amore, passione, carboidrati e proteine… ci cacci sopra il mattarello e inizi a farlo piatto piatto piatto. E’ un po’ la metafora di quando cresci: la vita ti schiaccia ma te sei sempre quell’amalgama di uovaefarina con la moretta con gli occhiali che nel frattempo s’è fatta rossa, porta le lenti a contatto, e a te ti sembra la Venere di Botticelli con una cornucopia di ragù. Ecco spiegato poi perchè le donne ci corrono dietro col mattarello quando facciamo gli invorniti: è il loro modo per ricordarci da dove arriviamo (e dove ci manderanno se continuiamo a fare i scemi). Oh, questa roba schiacciata si chiama sfoglia. Mentre la sfoglia si riposa e fa l’amore con il sapore, voi preparate il ripieno.
Sceglietevi la ricetta che volete, provatele tutte. Formaggi molli, formaggi duri, trovate la combinazione. Non esagerate con la carne, perchè se no vi facciamo deportare a Bologna. Non esagerate con canditi o con noce moscata, se no è pronto il foglio di via per Parma o Cremona. Lasciate perdere le zanzare che fan tanto proteine, ma solo se abitate ad Argenta. Comunque amalgamate. Usate le mani che Dio (o Benito, o Stalin) ve le ha mica date solo per avvitare bulloni, digitare tasti o toccare parti intime! Smiscolate tutto, fate finta che state ravanando nei capelli della o del vostro partner. Come dite? E’ pelato? Mo usate la fantasia! Ah è una donna ed è pelata lo stesso? E allora pensa di ravanare qualcos’altro indarlito! E complimenti per la scelta, Filini. Fate su un mischione di quel che ci avete messo, e lasciatelo in un cantone a riposare.
Ora prendete la sfoglia che dopo l’amplesso starà fumando una Nazionale Senza Filtro, e fatela tutta a quadrati larghi un tre-quattro centimetri per lato. Io come misura uso il mio pisello. Funziona, e non ho neanche bisogno dopo di metterci il cefalo merdaiolo: sa già di pesce. Ci mettete sopra ad ogni quadretto una scucchiaiata di ripieno e poi qui mi fermo perchè c’è un momento di raccoglimento. Chiudere i cappelletti è un’arte arcana che è stata tramandata dai druidi celtici ai massoni alle società carbonare (quelli della pasta) e a 007.
Il primo cappelletto che ho chiuso in vita mia, a 8 anni, sembrava un incrocio tra una papera e un Iveco lanciato in autostrada, solo che la papera aveva avuto la peggio. Poi son migliorato, e sembravano i buchi dei culi dei macachi, quelli col culo rosso che sembra che abbian mangiato messicano. Ho lasciato perdere fino all’anno scorso, quando la Mezza, a casa della Rossa, mi ha gentilmente chiesto di darle una mano col matterello in mano (per ricordarmi da dove venivo). Allora mi ci son messo di impegno ma si sa, il maschio romagnolo è gnucco come una capra tibetana e son riuscito a farli decenti, solo che io ne facevo due e loro nello stesso tempo – chiaccherando amabilmente dei cazzi loro – duecento.
Insomma la ricetta per chiuderli è questa. Dateli in mano ad una donna. Date retta, fate fare a loro. Son quei movimenti automatici che hanno nei geni, senza nemmeno sapere come. Un po’ come voi quando vi siete fatti quel bidè a 13 anni e vi è venuto quel movimento automatico. Ecco esatto, non sapevate perchè, ma era così. Lasciate perdere i cappelletti, voi limitatevi alle pugnette. Quando sono pronti, quei cappelletti sono la prova che l’amore esiste. E che è una roba talmente invornita che non ci si può neanche stare a pensare. Mentre buttate i cappelletti nel brodo – e che vi venga un prurito al culo mentre avete le braccia ingessate e siete soli in casa, se usate il brodo di dado o quello vegetale! – date un limone al vostro o alla vostra partner. Anche se non ha fatto niente, se l’è meritato. E, come ultima prova che fare i cappelletti è come fare l’amore ricordatevi. Non appena vengono su… che sono ancora duri… prima che scoppino… tirateli fuori. Se no dopo è un casino mangiarli, tenendo in braccio un figlio dell’amore (e di una frenata finita lunga).
(il Nero)
Post tratto dalla pagina Facebook Sa fet a qué