Zitti e mosca in attesa al CUP di Forlì

Ausl via Colombo

Da stamani, se dovessi inveire contro un mio nemico, per fortuna cosa rara, pur se con la mancanza di quel “molto onore”, caro ai coriacei nostalgici del Ventennio, ebbene non lo manderei né a quel paese né ad altra destinazione più volgare: sarebbero due mete troppo astratte, vaghe, molto meglio sbatterlo a farsi un giro al CUP di Forlì.
Sì, proprio il CUP, Centro Unico di Prenotazione dell’ASL Romagna di Forlì, in particolare quello sito in via Cristoforo Colombo, poco distante dalla stazione ferroviaria. Un servizio, forse ideato da amministratori sadici, con la sola efficienza di far perdere tempo e correre rischi per pratiche che dovrebbero risolversi con un click, magari comodamente e al sicuro da casa propria.

Nonostante l’età, tengo ancora botta con la salute, ma periodicamente mi sottopongo ad esami e qualche visita di controllo, giusto un tagliando al mio motore dopo tanto chilometraggio percorso. Ero rimasto fermo quasi a due anni fa quando per gli esami del sangue bastava, in un giorno a mia scelta, recarmi con la ricetta del medico e la tessera sanitaria al centro prelievi dell’Ospedale Pierantoni, prossimo a casa mia in zona Vecchiazzano, quindi passare rapidamente dall’accettazione e, poi, salire al piano superiore per offrire la vena alla patria sanità: massimo una mezzoretta per un servizio ben organizzato e veloce, attento e non privo della cortesia degli addetti.

All’oscuro di taluni cambiamenti ASL, indotti dal fottutissimo Covid, stamani mi sono così recato, come al solito, al padiglione Vallisneri del Pierantoni, certo di spicciarmi per la solita punturina di prelievo, invece, sorpresina, niente più accettazione, ma prenotazione degli esami ad un numero verde oppure al CUP in via Colombo
Non ero il solo ad ignorare tale logistico cambiamento succhiasangue: oltre a me altre 16 persone per un totale di 17, numero che certo non lasciava presagire un buon inizio settimana, anche se, con la dovuta palpatina scaramantica agli zebedei, siamo, ormai, abituati con la nostra sanità covidiana all’adagio “lasciate ogni Speranza voi che entrate..!”
Evidentemente, se stamani 17 ignari bischeri bussavano all’uscio sbagliato, ciò significa che qualcosa non ha funzionato appieno nella comunicazione complessiva dell’ASL agli utenti, affidata maldestramente, come ho verificato, solo a qualche comunicato stampa e avviso in fotocopia incollato, qua e là, a vetri e pareti delle strutture sanitarie.

Resta gravissimo il fatto che al Pierantoni non si sia mantenuto né il CUP né si sia organizzato diversamente, nel rispetto della lotta anti COVID, il centro prelievi del laboratorio di analisi: poteva essere fatto, invece tanti cittadini di vasta parte della città e delle sue frazioni, sono stati e sono costretti ad andare all’altro capo di Forlì, anche con difficoltà di parcheggio nella zona interessata.
Sono, dunque, corso a casa a telefonare al numero verde, una delle due opzioni per prenotare gli esami del sangue, precipitando, però, nel dramma esistenziale di chi chiede ascolto e sente solo un angosciante, duraturo segnale di occupato; tre lunghi tentativi a vuoto, poi l’impostata voce di una burocrate sanitaria finalmente ha risposto, propinandomi un mortale pistolotto di preambolo sulla privacy che ho sopportato a stento, ma ce l’ho fatta, pur di non guastarmi il sangue: ormai era fatta, qualcuno aveva risposto, mi sentivo già l’ago in vena, invece, dopo aver digitato quanto consigliatomi dall’operatrice telefonica, improvviso un silenzio assordante, solo io a ripetere “pronto, pronto…” quasi per non rassegnarmi ad un dramma pari a quello di “Piange il telefono” di Domenico Modugno.
Rassegnato, mi sono precipitato in auto al CUP in via Colombo, dove all’esterno un solerte addetto, muto, solo un braccio teso ad indicarmi una coda di persone, mi ha fatto capire come non fosse finito il calvario verso quel mio agognato “stenda il braccio e stringa il pugno” ai fini del prelievo, esortazione, questa, che mi ha fatto sorridere al pensiero di potermi costringere ancora ad una rituale gestualità da “compagno”.

Paziente pecorone in una coda che sfilava lentamente come i grani di un interminabile rosario, dopo ben 25 minuti ho raggiunto l’ingresso del CUP, non dimentico quanto difficile possa essere una fila al freddo dell’inverno; poi, mani igienizzate e misura frontale della temperatura, finalmente sono entrato e, sentite le mie necessità, mi è stato dato un biglietto numerato SU ovvero Sportello Unico: prima di me, per lo stesso servizio, ben 29 persone e gli stessi sportelli soddisfacevano anche pratiche diverse dalla mia, quali scelta del medico di base o del pediatra, informazioni ed altro ancora
Dunque, lasciavo o raddoppiavo la mia sopportazione, quasi celebrando Mike Bongiorno?

Ma sì, avevo fatto trenta, avrei fatto trentuno, rassegnato ancora tra il bastone e la carota.
Il salone che mi ha accolto era triste con l’aria viziata, appena mitigata dall’apertura della porta d’accesso, inoltre, solo poche sedie disponibili, vista la distanza di sicurezza COVID tra un posto e l’altro: per me, reduce da curatore di eventi danteschi, quasi un girone di dannati del CUP, tra i quali cinque mamme con bimbetto in passeggino e due signore vistosamente in dolce attesa, inutilmente alla ricerca dove sedersi.
Persino, un vigilante con pistola che, accompagnando gli utenti dall’ingresso al distributore dei numeri, sembrava quasi Caronte, traghettatore dei dannati del CUP forlivese; forse non sfigurerebbe un cane pastore per il controllo del gregge, ignaro che pure al CUP forlivese di via Colombo “per me si va nella città dolente, per me si va nell’eterno dolore” della maldestra sanità pubblica italiana.
Un’ora e quindici minuti la mia tribolazione per un foglio che mi ha prenotato, ripeto solo prenotato per un semplice prelievo di sangue.

Franco D’Emilio

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