9 novembre 1944, a Forlì l’à smess ‘d piovar

Liberazione-di-Forli

Spesso la poesia è metafora della vita, anche della storia che ordina o sconvolge, libera od opprime l’esistenza delle comunità. È il caso di L’à smess ‘d piovar (Ha smesso di piovere), breve composizione del poeta dialettale romagnolo Aldo Spallicci, tanto significativa ed esortativa della volontà dei forlivesi di riprendere il cammino di libertà e democrazia, interrotto dalla dittatura fascista, dalla successiva guerra mondiale e pure dalla vergogna di una guerra civile, fratricida tra italiani, diversamente disperati.
Quando il 9 novembre 1944 Forlì fu liberata dalle truppe alleate con il contributo della Resistenza, i suoi abitanti compresero subito come, dopo una pioggia torrenziale di guai e dolori, fosse giunto l’atteso momento di scrollarsi di dosso le pene, i torti subiti per tuffarsi in quel cielo sereno, finalmente profilatosi all’orizzonte.

Subito il Governo della città.
La voglia dei forlivesi di superare le difficoltà del momento vinse lo smarrimento dinanzi alle rovine del centro storico, delle fabbriche, soprattutto degli animi.
C’era una drammatica, ma dignitosa povertà: poco pane, tanti disoccupati e senzatetto, troppe donne con la perdita di un figlio o del proprio uomo. Sempre in agguato, poi, la tentazione di vendetta anziché l’opportunità della comprensione e della conciliazione.
Già il 10 novembre, subito il giorno dopo la liberazione, le forze democratiche forlivesi provvidero ad assicurare il governo istituzionale della città con la nomina del primo sindaco e della prima giunta comunale nel ritorno alla libertà e alla partecipazione: così, presto, ripresero i trasporti, l’erogazione della luce e dell’acqua, riaprirono le scuole e gli altri uffici pubblici, si tornò ad assumere nelle fabbriche, iniziarono le prime ricostruzioni.

Primo sindaco e prima Giunta Municipale
Tutto merito dei forlivesi che recuperarono appieno la condivisione collettiva dei problemi e lo fecero nei partiti, nei sindacati, nelle cooperative, persino nelle parrocchie, consapevoli che solo dal confronto delle idee potesse risultare la comune uscita dalle difficoltà del dopoguerra.
In quei giorni si confermò il vero valore della politica ovvero la sua capacità di governo e gestione della comunità, virtù oggi scandalisticamente offesa.
Altri tempi, dirà qualcuno, è vero: la politica era allora solo cultura del bene e del progresso dei cittadini, insomma cura della res pubblica e non privata.

Franco D’Emilio

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