Francesco Minutillo: pregare per un fascista non è reato

Ettore Muti

Sicuramente la notizia pesa e induce a riflettere: il peso sta nel colpo di spugna che ha archiviato l’accusa; la riflessione, invece, s’impone su quanto sia stato, ancora oggi, opportuno, intelligente accanirsi con faziosità ideologica e tanto sordido rancore contro la dignità, il rispetto della morte.
Proprio due giorni fa, il Giudice per le Indagini Preliminari, Andrea Galanti, ha accolto la richiesta di archiviazione della Procura di Ravenna per alcuni iscritti alla legittima Associazione degli Arditi d’Italia, accusati di apologia del Fascismo per lo svolgimento di quel momento celebrativo e di preghiera in memoria dell’eroe Ettore Muti, ogni anno ricorrente nel mese di agosto sotto le mura del cimitero di Ravenna. Infatti, nella condotta del ritrovo annuale in ricordo del ravennate Muti non si sono ravvisati gli estremi di alcuna violazione della cosiddetta legge Scelba del 1952 contro la ricostituzione del disciolto Partito nazionale Fascista.

Così, con le pive nel sacco è rimasta la coriacea Consulta Antifascista ravennate, promotrice dell’azione legale. Così, gli Arditi d’Italia si sono visti riconosciuti liberi di ricordare e pregare per Ettore Muti, tuttora e, soprattutto, non pretestuosamente il militare più decorato d’Italia, quindi oggettivamente valoroso gerarca fascista. Così, l’avvocato forlivese Francesco Minutillo, difensore degli Arditi, altrettanto coriaceo al pari della irriducibile Consulta, essa, sì, nostalgica di una, ormai logora, epopea resistenziale, può, soddisfatto, accogliere l’archiviazione quale riconoscimento “della legittimità del diritto di pregare per l’anima della medaglia d’oro Ettore Muti e di farlo rispondendo Presente”: riconoscimento che, a questo punto, costituisce un valido precedente per la memoria di quanti, oggi parimenti meritevoli di memoria, rimasero e si schierarono dalla parte fascista nell’ambito di una terribile, sciagurata guerra civile che taluni, come la Consulta Antifascista di Ravenna, sono ancora tanto riottosi a considerare chiusa, senza più alcuna astiosa e anacronistica caccia al fascista.

La morte va sempre rispettata perché, assurdo che paia, è anch’essa un valore che, direbbe Totò, livella ricchezze e povertà, meriti e difetti, innocenze e colpe, magari per un futuro che trascende confini terreni. Possiamo giudicare nel bene o nel male la condotta della persona scomparsa, ma non abbiamo mai il diritto di offendere in lei quella natura umana trascorsa che merita solo rispetto, fondato sulla comprensione, la pietà e il perdono, se ne abbiamo la virtù. Ha ragione l’avvocato Minutillo col suo auspicio che “la pietà per un defunto non può e non deve essere motivo né di divisione né di preoccupazione”, eppure c’è ancora chi, come la Consulta Antifascista di Ravenna ha paura dei morti fascisti, alimenta un’odiosa contrapposizione ideologica. Chiunque ha il diritto di venerare i suoi cari, anche richiamando comuni ricordi, gesti o voci: dunque l’incontro annuale degli Arditi nel ricordo del loro Ettore Muti giustamente si esprime con una ritualità di circostanza che non costituisce affatto pericolo imminente di ritorno al PNF.

Non sono un Ardito né una nostalgica camicia nera, non avendone la stoffa e l’inclinazione, ma poiché, per mia fortuna, sono stato educato al rispetto reale del principio “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo”, già nella biografia di Voltaire ad opera della scrittrice inglese Evelyn Hall nel 1906, sempre difenderò il diritto pacifico, legittimo di chiunque a manifestare il proprio pensiero, pure nel richiamo della memoria di chi si ritiene, comunque, prossimo per condivisione di ideali, passioni.
Forse, sarebbe il momento di riconsiderare, magari con qualche ritocco sostanziale, la rispondenza, in termini di coerenza, tra la legge Scelba e l’art. 21 della Costituzione sulla libertà di pensiero.

Franco D’Emilio

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