A Brescia giudice al contrario per i comodi altrui

La notizia, già ieri nell’edizione serale di quasi tutti i telegiornali, poi stamani ampiamente riportata e commentata, ma soprattutto condannata sui giornali, seppur con evidenti e stridenti opinioni perché inevitabile l’indignazione, la deplorazione della destra e dei moderati, invece ambigua, rabberciata e doppiogiochista la critica della sinistra. A Brescia un Pubblico Ministero ha chiesto l’archiviazione dell’accusa per maltrattamenti, violenze e altro a carico di un mussulmano del Bangladesh contro la moglie ventisettenne, questo con una motivazione a dir poco assurda e tragicomica: il comportamento dell’uomo con insulti, minacce, tante botte, addirittura la segregazione in casa perché la donna non uscisse con le amiche, si spiega, e tale deve essere accettato, come retaggio, patrimonio della cultura, quindi quella discutibile e maschilista dell’Islam, nella quale è nato e cresciuto. Per fortuna, il GIP, giudice per le indagini preliminari, è stato di parere opposto e ha disposto l’imputazione coatta del violento mussulmano.

Come cittadino, sono tentato di chiedere e chiedermi chi o cosa mai abbia consentito, assecondato l’accesso in magistratura di un giudice così sconcertante nelle sue vesti di pubblico ministero. Trovo, lo ripeto, assurda, tragica la richiesta d’archiviazione perché, innanzitutto, è un’offesa palese al nostro ordinamento giuridico, il corpo di regole, norme che regola la vita della nostra società, tutelando pari diritti e doveri di tutte le persone senza distinzione di sesso, razza, religione e quant’altro: la vita sociale discende ed è assicurata da regole, quest’ultime, quindi, sono il presupposto di una buona società. Tutto questo, ovviamente, nel rispetto della legge fondamentale dello stato italiano, la Costituzione: fuori da questo indirizzo non può esservi alternativa, interpretativa dei diritto e del comportamento delle persone.

Invece, no, a Brescia si è rischiato che una cosa possa essere l’atteggiamento verso un italiano e altra verso un immigrato, anche se entrambi ritenuti colpevoli di aver spesso conciato a botte la moglie; nel primo caso, l’italiano è da condannare perché erede diretto di un mondo culturale, avverso alla violenza sulle donne, nell’altro caso, al contrario, l’immigrato può giustificarsi perché influenzato da una cultura d’origine che considera la donna meno che niente. Distinzione assurda, ma pure labile, se mi consentite, dato che mi si dovrebbe pure spiegare per quale motivo la stessa giustificazione culturale, valida per l’immigrato islamico, non debba valere per l’italiano, padrone geloso e possessivo della propria donna, magari sul filo della tradizione e dei costumi del sud.

Ecco, ancora più evidente, perché la necessità di norme giuridiche inderogabili e ferree.
Un Pubblico Ministero, come quello di Brescia, con due pesi e due misure, non è un magistrato affidabile nel principio che “La legge è uguale per tutti”. È un giudice con la giustizia al contrario, degno di essere aggiunto nel libro “Il mondo al contrario” del generale Roberto Vannacci, dunque argomento da chiacchiere al bar, come ripetutamente ed ossessivamente va ripetendo Pier Luigi Bersani, ormai confuso dai vapori della tanta trielina usata per smacchiare il giaguaro. Il generale Vannacci, anni di servizio, anche a rischio della propria vita, ma soprattutto con la responsabilità della vita dei suoi uomini, viene additato come qualunquista, insomma “robetta”, e, invece, il PM di Brescia dovrebbe restare autorevole e credibile nella considerazione altrui.

Perché il giudice bresciano non deve considerarsi opposto, “al contrario”, appunto, rispetto alla normalità ordinaria della legge e del mondo giudiziario? Pensiamo quanto, poi, sia amaramente tragicomica l’evocazione, suscitata dalla proposta orribile di archiviazione del PM di Brescia per il marito mussulmano, violento e manesco con l’infelice moglie: si rimette in discussione il delitto d’onore, a lungo vergogna italiana; si getta fango sulle vittime del conto interminabile dei femminicidi perché, anche in questo caso, gli assassini potrebbero appellarsi al loro mondo culturale d’origine o appartenenza; si rischia ora, persino, il paradosso che invochi la tradizione pakistana il padre scellerato, partecipe a Novellara dell’assassinio della figlia Saman, colpevole di aver trasgredito alla sudditanza e assoluta obbedienza ai voleri familiari.

Ancora, la proposta di archiviazione del PM di Brescia infanga il coraggio, la battaglia per la dignità delle donne di Franca Viola, nel lontano e difficile 1966 protagonista in Sicilia del primo rifiuto pubblico di un “matrimonio riparatore” del rapimento e delle violenze, subite ad opera di Filippo Melodia, nipote di un boss mafioso di Alcamo. Molto di più, il relativismo giuridico del pubblico ministero bresciano mi fa tremare i polsi all’idea che, presto, altri possano appellarsi alla propria vicinanza, appartenenza al mondo culturale transgender per stravolgere ogni norma, anche a giustificazione di offese, reati contro quell’ordine umano e morale da sempre nelle regole della società.

Franco D’Emilio

1 commento

  • Gianni Prelez ha detto:

    io trovo giustissimo rispettare ed adeguarsi alle culture che vengono ospitate da noi !!! Proporrò ad un mio amico della tribù dei Dayak di prendere la residenza sotto casa del giudice così aperto all accoglienza . Ricordo che la tradizione dei Dayak è quella di tagliare le teste per conservarle sul comodino come trofeo !!!!

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