Caro Landini, tu vuò fà l’americano?

maurizio landini

Dal 19 ottobre al 3 novembre saranno messi in cassa integrazione guadagni, la cosiddetta cig, quasi 2500 operai della ex Fiat, ora Stellantis, stabilimento di Torino-Mirafiori, visto il flop di vendite dei modelli Maserati e dell’infelice 500 elettrica.
Già, ad agosto, analogo ricorso alla cig era toccato al lavoratori, sempre ex Fiat, degli insediamenti di Melfi e di Pomigliano d’Arco, ed era stato, allora, abilmente e tanto ipocritamente giustificato con la necessità di non esporre le maestranze alla grande ondata di caldo, incombente su tutta l’Italia: mi viene da ridere di tanta scemenza, ancora mi chiedo quale sia stato il criterio perché alcuni operai finissero in cig e altri no, quasi l’afa torrida non fosse la stessa per tutti!

La verità è una sola, in Italia il gruppo Stellantis, settore auto, fa acqua da ogni parte, produce, ma non vende, riempie i piazzali di invenduto con la sola speranza di poterlo collocare in blocchi a prezzi scontati sul mercato mediorientale, africano e latino-americano, nonostante la concorrenza, anche in questo caso, di altri marchi dell’auto. L’amara verità su Stellantis in Italia la raccontano i dati di fine settembre scorso: -10% della produzione complessiva rispetto, attenzione bene, ai discreti livelli produttivi prepandemici; -30% il calo produttivo a Melfi; -24% nello stabilimento di Atessa.

Sinora, da una parte, il governo Meloni ha cercato, invano, di elaborare un piano, utile al ritorno produttivo sul milione di autoveicoli, escludendo, però, ogni ricorso a quell’assistenzialismo di stato, di cui tanto aveva goduto la Fiat di Agnelli; dall’altra, la claudicante Stellantis minaccia di spostare la produzione in Francia e altrove.
Eppure, dinanzi a tale grave situazione il buon Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, pur mostrando i denti, evita ogni contrasto diretto con Stellantis, si limita solo a sbraitare, minacciare scioperi, a riempire qualche piazza, come pochi giorni fa a Roma, al grido “Non ci fermeranno!”

Per andare dove, ecco non la fermeranno, caro agit-prop Landini? Lei frequenta i salottini, fa le sue comparsate televisive nei talk show, alterna la foga rivoluzionaria con il tatticismo moderato del cerchiobottista, però malamente nasconde quanto si senta orfano della sinistra al governo, soprattutto quanto vorrebbe rappresentare un’alternativa politica dentro la stessa sinistra e, invece, è costretto, come Franceso Rutelli nel 2005, a mangiare l’amara cicoria di dover scodinzolare attorno a Elly Schlein, segretaria scialba del PD, e a Giuseppe Conte, leader camaleontico del M5S.

Lei, caro Landini, è schiavo di Stellantis perché sa di non poter andare oltre: la concertazione sindacale la rende un cogestore, non più un antagonista sociale; mostra i denti, sapendo di non poter mordere; senza la sinistra al governo lei non ha più santi in paradiso e, alla fine, anche le piazze si svuotano e le parole volano via tra le cartacce.
Dinanzi a tanta crisi dell’auto italiana cosa fa, dunque, Maurizio Landini, leader della Cgil? Decide di fare l’americano, come nella canzone “Tu vuò fa’ l’americano” di Renato Carosone, e manda un picchetto di quattro del vertice cigiellino negli Stati Uniti, a Detroit, per seguire, anche dando man forte, le attuali rivendicazioni salariali degli operai del settore auto, impiegati in Stellantis, Ford e General Motor.

Forse il nostro protagonista s’illude, in caso di vittoria delle maestranze americane, che la Cgil possa figurare anch’essa vittoriosa accanto ai sindacati Usa, colmando così la scarsezza di risultati e credibilità in patria? Oppure, cerca in terra yankee, lontano da occhi e orecchie italiani, un’intesa con Stellantis sulla crisi produttiva degli stabilimenti in Italia? O, ancora, con la scusa dello sciopero americano ha, in realtà, inviato la sua delegazione per ammorbidire l’indifferenza americana verso la sinistra italiana, la segretaria Schlein e, naturalmente, screditare la politica del governo Meloni?

Non s’illuda, caro compagno Landini, negli Usa nessuno filerà più di tanto i suoi quattro cigiellini in missione: gli operai e i sindacati americani sono pragmatici, poco o per niente ideologizzati, distinguono e separano la conflittualità sociale da quella politica, repubblicano o democratico che sia il loro governo. Per tutto questo non s’illuda, caro Maurizio Landini, gli americani non sopportano i capipopolo saputelli, ancora di più se in odore di riformismo socialista. I quattro del picchetto Cgil saranno solo lieti di tornare presto a casa perché, caro Landini, darla a bere e raccontare novelle riesce bene in Italia, negli Usa tutt’altra storia.

Franco D’Emilio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *