Su scartoffie e polvere dopo le parole di Roberto Balzani

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Mi ha molto colpito, anche sollecitato nei sentimenti, l’intervento su questo giornale del professor Roberto Balzani “Non solo scartoffie e polvere. L’importanza degli archivi”. Parole, quelle del nostro concittadino, illustre storico e cattedratico, che emotivamente mi hanno fatto sentire tanto nostalgico di una lunga esperienza di vita e lavoro, proprio nell’amministrazione archivistica dello stato. Questa volta, sì, in barba al solito significato riferito al trascorso Ventennio, dichiaro senza esitazione, anzi rivendico fortemente di essere nostalgico degli anni, molti e indelebili, trascorsi tra l’Archivio di Stato di Pistoia e la sua Sezione di Pescia, l’Archivio di Stato di Forlì e la sua Sezione di Rimini, in anni precedenti all’istituzione della provincia, e, infine, i fondi archivistici della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.

Tra la polvere e le scartoffie degli archivi ho scoperto un mondo, prima per me inimmaginabile, poi sempre più concreto, tangibile e avvincente per la ricerca storica sulle persone, sulle comunità e i loro territori, sulla nostra nazione. Per questo condivido, quasi vorrei che divenisse motto dell’amministrazione archivistica la conclusione lapidaria, efficace, pure di monito, del professor Balzani “gli archivi servono e non sono un lusso”. Come dargli torto, ancora di più da parte mia, testimone della sua frequentazione della sala studio dell’Archivio di Stato di Forlì?

Gli archivi servono e non sono un lusso perché i cittadini, per necessità amministrative o di studio, necessitano della reperibilità documentale della memoria storica; ancora servono e non sono un lusso perché sono fonte di conoscenza, dunque strumento di valorizzazione e promozione culturale; ancora di più servono e non sono un lusso per capire come si sia definita la nostra identità nazionale, tema ora di grande attualità nell’emergenza dell’immigrazione, ma del quale troppi parlano a vanvera, magari anche perché ignari delle scartoffie e della polvere dalle quali giunge la storia di tutti noi.

Quando, tante primavere fa, ventiduesimo vincitore di un concorso nazionale, entrai in servizio nel Ministero per i beni culturali e ambientali, così si chiamava allora, e fui assegnato all’Archivio di Stato di Pistoia, ebbene l’archivistica era per me solo tanta teoria e dovevo, invece, farne una pratica di quotidiano lavoro.
Fui messo all’opera e, piano piano, scartoffia dopo scartoffia fui preso da un viaggio oltre il tempo, ma sempre la stessa meta: documentare il divenire delle vicende umane.
Ricordo ancora i miei lavori: l’inventario della Camera Ducale, quello del Consorzio del fiume Ombrone; l’archivio del Conservatorio Femminile di S. Giovanni Battista; la campagna fotografica e di restauro delle mappe del Catasto Granducale; l’inventario del vasto archivio del Partito Nazionale Fascista pistoiese, uno dei pochi pervenuti integri; infine, l’emozionante incontro con le cosiddette “reliquie dantesche” tra le mie dita nei guanti di bianco cotone.

Già solo tutto questo all’Archivio di Stato di Pistoia, in fondo poco rispetto al lavoro complessivo in tutti gli anni di servizio. Sono soddisfatto di aver servito tanti utenti: semplici cittadini con necessità amministrative, penso alla complessa ricostruzione dei passaggi delle proprietà; professionisti, docenti e, in modo particolare, numerosi giovani per le loro tesi di laurea. Ancora, riprendendo la conclusione del professor Balzani, gli archivi servono e non sono un lusso perché abbiamo bisogno della verità delle loro scartoffie nella polvere e la verità stessa non può mai essere un lusso.

Ricordate, anni addietro, l’inutile clamore attorno alla notizia che Edda Mussolini, nata a Forlì nel 1910, dinanzi all’ufficiale di stato civile fosse stata dichiarata da Benito come figlia sua, ma di maternità ignota? Niente da fare, presto tutti zittirono, l’Archivio di Stato di Forlì custodisce il relativo documento e, come si sa, carta canta, oh come canta!
Tra il 1983 e il 1984 fui incaricato sotto il vincolo del segreto d’ufficio di una ricerca su carte del disciolto PNF: un celebre giornalista accusava un parlamentare DC, pure presidente di un’importante Cassa di Risparmio, di avere pesanti trascorsi fascisti e quest’ultimo aveva intentato causa per diffamazione; impiegai mesi nella ricerca, poi aiutato da una rubrica, inserita in un libro-protocollo, trovai il fascicolo informativo del PNF su tale esponente democristiano, allora giovane universitario a Firenze: il regime lo aveva tenuto d’occhio, addirittura pedinandolo, annotando la sua quotidianità.

Fu inevitabile che il giornalista pubblicamente si piegasse alla verità di una scartoffia d’archivio. Ecco perché l’intervento di Roberto Balzani ha mosso in me tanto “nostalgismo”, passatemi l’uso improprio, delle scartoffie e della polvere d’archivio. Per questo, la tragedia dei fondi archivistici comunali forlivesi in via Asiago è stata per me un colpo, un’offesa pesante, di cui non riesco ancora a capacitarmi, soprattutto se mi sovviene l’insipienza di certe scellerate scelte politiche locali, passate e presenti, nella gestione del patrimonio culturale cittadino. “Gli archivi servono e non sono un lusso”: facciamo tesoro e impegniamoci perché la nostra memoria storica mai più sia sommersa dalla melma della sottovalutazione, dell’indifferenza, del pressapochismo.

Franco D’Emilio

1 commento

  • agostino bernucci ha detto:

    Io Agostino bernuçci sono i testimone diretto delle verità che hai scritto sui documenti degli archivi. Perché allora sempre Balzani è l’artefice della chiusura di tutti i musei?

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