Che belli gli album dei ricordi

Matteo Salvini Jacopo Morrone Gianluca Pini

Che belle le foto: le raccogli, le conservi, magari in gran disordine, eppure, al momento giusto, quando una notizia o un articolo, un telegiornale oppure anche solo un pettegolezzo ti stuzzica, allora ti ricordi che, forse, tra tante foto ce n’è qualcuna, proprio a fagiolo su quel fatto, quelle persone, ora oggetto di tanta cronaca. Ancora più agile questo abbinamento tra fotografia e cronaca se l’inclinazione personale a tenere in ordine le cose, come nel mio caso, ha portato a dividere le foto in vari album, ciascuno di diverso soggetto: la propria famiglia, la storia; lo sport e gli spettacoli, perché no gli avvenimenti epocali; infine, gli amici e le donne del tempo quando ciascuno era convinto di far parte de “La meglio gioventù”.

Le foto vanno sempre considerate sotto due aspetti: la realtà oggettiva dell’immagine, al momento dello scatto, poi la comprensione come e perché si sia giunti a quel fotogramma, insomma cosa ci sia stato o ci sia ancora dietro. Le foto sono come finestre, incuriosiscono a spalancare i battenti per verificare che storia, quali sentimenti, fini e valori, soprattutto che idee abbiano spinto alla decisione o al desiderio di fissare tutto in una foto. Così, l’altra mattina quando la cronaca nazionale e locale mi ha disgustato per l’ennesima volta con la notizia di arresti e di un’indagine per il presunto odioso commercio di mascherine anti Covid, fra l’altro, pare, pure mediocremente tarocche, non mi sono sentito né sorpreso né spiazzato, ma subito mi è balzata alla mente una foto, quella che, inevitabilmente, conferma come fosse inevitabile che prima o poi accadesse quel che ora fa tanto incazzare forlivesi e no.

È una foto una e trina: una perché ritrae il complessivo sodalizio politico di tre protagonisti, revanscisti del ritorno dei barbari; trina perché tre i soggetti in foto, cosicché il fotografo potesse sperare da tre di farne, ricavarne perlomeno uno buono, fotogenico. È, dunque, una foto una e trina che, però, dietro non ha niente: spalancando i vetri della citata finestra, ho guardato su e in basso, poi su ogni lato, persino con la mano sulla fronte ho scrutato lontano l’orizzonte, ma niente, solo nulla, vuoto assoluto. Lo stesso drammatico nulla che in politica assume contorni tragicomici quando pretende di darsi la credibilità e l’autorevolezza di chissà mai quali contenuti, solitamente inesistenti o fittizi.

Quel medesimo nulla, falsamente aulico, che Mario Melloni, alias Fortebraccio, ex democristiano poi comunista, stigmatizzava nei suoi mordaci corsivi sulla prima de L’Unità: memorabile il suo “bussarono alla porta ed entrò il nulla, era Antonio Cariglia”, parlamentare senza gloria e senza infamia del Partito Socialdemocratico di Mario Tanassi; nessuno più ricorda né l’uno né l’altro, appunto! Di sicuro, le foto più sfortunate sono alcune di soggetto politico senza nulla dietro, solo autorevole bluff di posticcio credito.

Tanto per esemplificare, sono tre Qui, Quo, Qua, nipotini del disneyano Paperino, pure tre i porcellini Gimmy, Tommy e Timmy della fiaba inglese di Joseph Jacobs, ancora tre i moschettieri narrati da Alexandre Dumas e, perché no, tre i protagonisti de Il Buono, il Brutto, il Cattivo, film western di Sergio Leone del 1966, eppure tutti hanno segnato la vita altrui con il contenuto dietro il loro fumetto o disegno sulla prima di copertina o dietro la foto della locandina al cinema.
Poi, invece, non sempre vero che tre sia il numero perfetto, ci sono anche tre che tutti assieme non valgono neppure una briscolina, eppure pretendono di giocare a rubamazzo, i soliti “pataca” furbetti alla “Io, Poldo e Baffino”.

Franco D’Emilio

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