A Forlì la vergognosa storia delle lunette di San Mercuriale

San Mercuriale foto di Renzo Zilio

La vicenda è assurda e vergognosa, eppure ce la vogliono rifilare come un evento fortunato, ulteriore auspicio della ripresa di Forlì dopo la terribile devastazione dell’alluvione: insomma, udite udite, ma c’è poco da rallegrarsi, negli scantinai allagati del nostro seminario vescovile, sono state rinvenute 19 della 30 lunette che, inizialmente collocate sotto le campate di volta del chiostro dell’Abbazia di di San Mercuriale, costituivano un ciclo pittorico, narrativo di momenti della vita di S. Giovanni Gualberto, fondatore dell’Ordine Vallombrosano. Ebbene, il nostro sindaco Gian Luca Zattini ha salutato il rinvenimento come una “scoperta inattesa”, definizione veramente incauta, però accolta pure dal tacito assenso della Curia forlivese.

Mi spiego, inatteso è tutto ciò che risulta impensato o impensabile, fortuito o imprevedibile, per questo spesso sorprendente ovvero qualunque evento non possa collocarsi in una nostra prevedibile attesa perché fuori dalla logica dei nostri pensieri. Nessuno poteva mai immaginare che dalla melma dello scantinato del seminario forlivese riaffiorassero queste 19 lunette perché, qui sta l’assurdità e la vergogna della storia, si era completamente persa memoria dove mai fossero finite: una dimenticanza sollecitata da tanto abbandono pressapochista da parte dei religiosi di San Mercuriale e da altrettanta leggerezza del seminario forlivese cosa mai fosse allocato o trasferito nei suoi depositi.

Leggo sulla cronaca locale che tali lunette sarebbero state depositate presso il seminario vescovile e resto colpito dall’uso, in questo caso, improprio del termine deposito, riferito alla collocazione e alla cura, altrove, di opere d’arte. Sia la Chiesa che lo Stato registrano la movimentazione del proprio patrimonio culturale, quindi il turn over delle opere tra sale espositive e sale di deposito, la consegna al restauro e, perché no, anche il trasloco e la collocazione in magazzini di deposito di museo od altro ente; sottolineo, poi, come anche il deposito non escluda mai la cura, la buona conservazione delle opere d’arte.

Evidentemente, nulla di tutto questo è stato fatto nel rispetto della prassi amministrativa, gestionale di preziosi beni mobili del patrimonio culturale dell’Abbazia di San Mercuriale, anzi direi che la dimenticanza vergognosa delle lunette sia stata frutto di tanto superficiale e ignorante “fare alla carlona”. Mi sono informato ed ho appreso qualcosa di più. Fino alla fine degli anni ’90 le lunette in questione stavano appese ai muri delle navate laterali dell’abbazia forlivese: diversi cittadini ancora le ricordano sporche, illeggibili, neglette.

Poi, quando il parroco don Quinto Fabbri fece ripulire gli interni, allora le lunette, staccate dalle pareti, finirono malamente accatastate sotto l’organo, coperte da teli, ricavati dalle tende che, anni prima, erano state attaccate sopra gli stalli del coro. Infine, poco dopo, sempre don Fabbri se ne liberò, “smaltendole” nello scantinato del seminario, senza un verbale di consegna, una registrazione, insomma “conferendole” all’abbandono, all’incuria, alla perdita della loro memoria.
Questa vicenda delle lunette seicentesche di San Mercuriale è solo la conferma dove possa condurre la tragica logica, ora dominante nell’amministrazione comunale, dello scantinato, dove rifilare quanto non propriamente attrattivo per i cittadini: così pezzi d’archivio, di biblioteca vengono collocati in seminterrati per far posto a piani nobili espositivi.

A Forlì c’è tanto giusto e apprezzabile interesse dei cittadini per il patrimonio culturale, tutti discettano di cultura, mostre e conferenze, eppure, ora, sorvolano sulla vergogna che occorresse l’alluvione per ritrovare inaspettatamente lunette, ormai dimenticate e sepolte. Solo il caso dell’inondazione e la necessità di pulire uno scantinato allagato hanno fatto riaffiorare parte della memoria storico-artistica di San Mercuriale: semplicemente orribile che anche il patrimonio culturale, forlivese e nazionale, possa soggiacere al disegno de “Il caso e la necessità” di Jacques Monod.

Franco D’Emilio

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